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milano, Italy
Eco di fondo è una compagnia teatrale nata da Giacomo Ferraù e Giulia Viana, diplomati all’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel 2007. Si occupano di teatro di prosa e di teatro ragazzi. Selezionati per due anni consecutivi a NEXT, laboratorio per delle idee (O.Z.,, 2014 e LA SIRENETTA, 2015), hanno vinto diversi premi, tra cui: Premio Riccardo Pradella (2014), Selezione Inbox (ORFEO ED EURIDICE, Teatro Presente-Eco di fondo, 2014), finalista Premo Scenario Infanzia (NATO IERI, 2012), Premio Fantasio Piccoli (SOGNI, 2010), Premio ANPI Cultura (LE ROTAIE DELLA MEMORIA, 2008)

lunedì 16 aprile 2012

ECO DI FONDO a PIAZZA VERDI

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-cf738d8b-e392-4053-a368-795b25d2574a.html

I CANDIDI da labcattolica.wordpress

http://labcattolica.wordpress.com/979-2/

In questo clima politico d’incertezza, lo spettacolo “I Candidi” porta lo spettatore a interrogarsi sui mostri che la democrazia è in grado di creare. Il regista dello spettacolo, in scena allo spazio Tertulliano di Milano, è Emanuele Crotti, che esprime il suo punto di vista e racconta le sfide che ha dovuto affrontare. I Candidi” nasce come stage teatrale ispirato a “Cavie” di Palahniuk, una raccolta di storie che descrivono un’umanità grottesca da cui il regista ha scelto di allontanarsi, preferendo partire da un punto di vista più innocente. Proprio per questo ha deciso di trarre la sua ispirazione da “Il Signore delle Mosche” di William Golding. Lo spettacolo narra la storia di sette bambini naufraghi su un’isola che cercano di imitare il sistema democratico degli adulti che, però, finisce per degenerare fino a creare degli autentici mostri che usano le votazioni per il proprio tornaconto personale. La situazione peggiora a tal punto che i bambini non fanno altro che litigare tra di loro, la loro mostruosità diventa tale da essere pronti a divorare i loro compagni pur di sopravvivere. L’isola deserta diventa una metafora della condizione umana e la salvezza lo scopo primario.

Ci sono tre chiavi di lettura della salvezza: la prima è quella fisica, cioè ritornare a casa, vi è poi quella spirituale, cioè salvare la propria anima e infine quella morale. Questi argomenti potrebbero sembrare astratti, ma sono quanto mai attuali a detta del regista. I sette protagonisti non hanno una personalità e un carattere ben definito: essi possono essere chiunque e chiunque può essere loro e per questo il pubblico è più coinvolto nello spettacolo perché riesce a riconoscersi e immedesimarsi nei personaggi. Inoltre l’intento del regista non era quello di dar vita ai soliti “personaggini” che oggi più che mai fanno pensare ad un reality show più che ad uno spettacolo teatrale, ma piuttosto quello di creare degli uomini nei quali tutti potessero rispecchiarsi e che rappresentassero la varietà del genere umano. La pietra portante dello spettacolo sono le votazioni, che possono diventare il cemento della democrazia tanto quanto della dittatura. Il voto può salvare una vita, ma può anche decretare la sua fine. In una meravigliosa unione di teatro e danza, le parole sono poche: infatti sono soprattutto i gesti e l’espressione degli attori che raccontano la vicenda, senza però mai sfociare nell’esagerazione e nel grottesco. Crotti ha infatti affermato di non amare gli spettacoli in cui gli attori si trasformano in “mascheroni”, che lo spettatore ormai riconosce come finti, poiché non è più abituato a questo tipo di espressività. Lo spettacolo è caratterizzato da una grande semplicità e il titolo stesso lo suggerisce: i sette personaggi indossano soltanto delle t-shirt bianche che stanno a indicare il loro candore iniziale. Le magliette degli attori si sporcano poi di nero, che rappresenta la loro trasformazione da bambini innocenti a mostri. Fondamentali per aiutare lo spettatore a immergersi nello spettacolo sono senza dubbio le musiche composte dal gruppo milanese “Me And The White Lash”, che creano un’atmosfera a tratti onirica e a tratti quasi infernale. I Candidi” è uno spettacolo ben riuscito e capace di far riflettere, soprattutto in tempi in cui è raro fermarsi a pensare su ciò che accade intorno a noi. E’ senza dubbio un’esperienza teatrale diversa dal normale, ma che consiglio a tutti!


Carolina Fornari

I CANDIDI da niuodeon.com

http://www.niuodeon.com/

I 7 attori si aggrovigliano in scena durante l’entrata del pubblico in sala.

L’immagine che ritorna è l’affresco di una chiesa antica.

Ad un primo sguardo vediamo un dipinto angelicato, ma se restiamo attenti al lavoro di questi attori, (che molto generosamente si concentrano, nonostante il pubblico proceda nella sua serata chiacchierando e domandandosi quando inizierà lo spettacolo), si nota la natura a due facce del loro essere apparentemente buoni.
Sono catturata da queste figure pure che possono assumere valenze diaboliche, in un continuo gioco di forza ottenuta da un appoggio sull’altro come sostegno, senza il quale non si potrebbe esistere o sopravvivere.
Che valenza assume un concetto del genere se la storia del testo che ha ispirato il regista, Emanuele Crotti e il gruppo Eco di Fondo, trattasse di un gruppo di bambini sopravvissuti ad un incidente aereo sbarcati su di un’isola deserta dove il cibo scarseggia?
Vincitore nel 2010 del bando Schegge dell’Associazione Il cerchio di gesso di Torino, con il titolo provvisorio Bestie, ispirato al romanzo Il signore delle mosche di William Golding, sul palco le musiche dal vivo di Stefano De Ponti e Eleonora Pellegrini.
Questi giovani si organizzano in un gruppo, lontani dalla società convenzionale e ricordano i film “The village” e “il nastro bianco”.
Giocano a fare finta di essere dei grandi per poter sopravvivere; si danno delle regole, le più importanti sono il fuoco, la conchiglia, il voto. Hanno la necessità di sperare, credere, dare voce a sé stessi.
Per sconfiggere la paura non stanno mai soli. Ad un certo punto la fame crea uno scarto di lucidità, il bisogno di cibo li trasforma in bestie, gli uomini ai loro occhi diventano dei maiali.
Subentra un passaggio di testimone da un capo all’altro che decide per la fine dei due più deboli. Questo lavoro parla alla pancia dello spettatore e usciti dalla sala riflettiamo a più livelli.
Molto interessanti le scelte sceniche; come far rivivere il fuoco da stralci di colori fluo al buio, l’animale uomo con una maschera di maiale e soprattutto le magliette stracciate, distrutte in mille brandelli con le unghie e con i denti diventano davvero credibili atti di cannibalismo a cui si piegheranno 5 del clan.
Al ritorno a casa solo una ragazza del gruppo sembra nutrire rimorsi di coscienza mentre gli altri parlano ad un talk show di come sarà il libro e il film dell’avventura che, a detta loro, non ha causato morti oltre a quelli del giorno dell’incidente.


Antonella Vercesi


I CANDIDI da persinsala.it

http://teatro.persinsala.it/i-candidi/5234

“gli uomini producono il male come le api producono il miele

Allo Spazio Tertulliano, una scena vuota e sette attori bastano per ricreare l’isola di Golding e per raccontare la faccia oscura della natura umana.

Nel ’54, il premio nobel William Golding pubblicavaIlsignore delle mosche.
Metti un gruppo di ragazzi su un’isola deserta.
Metti la fame, la speranza di essere salvati che pian piano se ne va.
Assisterai a ciò di cui può esser capace l’essere umano in simili condizioni.

I giovani naufraghi si godono l’ebbrezza dell’assenza degli adulti. Giocano, esplorano, si divertono. Ma cercano anche di darsi delle regole ispirate in qualche modo a una leadership democratica.

Ed è proprio qui che qualcosa si spezza.

In un gioco di specchi che ci restituisce la nostra attualità politica – e più in generale la politica di ogni tempo – i ragazzi non controllano le proprie ambizioni al comando, e pian piano scivolano in dinamiche violente abbandonando ogni scrupolo. Il diritto di esprimere la propria opinione e anche solo di parlare – scenicamente il passaggio della conchiglia e l’ossessione del voto – degenerano in una dittatura della maggioranza.

Il carisma del leader attira di più del bene comune, e basterà far leva sulla paura e sull’emotività perché il gruppo si lasci andare agli orrori più bestiali: homo homini lupus.

La drammaturgia di Emanuele Crotti, che dal romanzo prende le mosse, gli vale nel 2010 il premio del bando Schegge indetto dall’Associazione Il cerchio di gesso di Torino e l’istanza di fondo di raccontare la natura umana e i suoi risvolti aberranti è rispettata.
ll pubblico assiste con orrore a come i sette adolescenti trasformino il paradiso in un inferno.
Sebbene l’età degli attori non possa restituire l’immagine di innocenza dei bambini di Golding, ci appare chiaro che il male si insinua dove siamo soliti trovare la purezza: nel gioco.

Nello spettacolo lo scenario idilliaco dell’isola è già pervaso da un senso di inquietudine. Nessuna spiaggia incantevole è evocata: l’atmosfera è già corrotta e la scena si sviluppa soprattutto nella penombra.

Non c’è scenografia e, per costumi, solo pochi stracci. Solo una musica distorta d’atmosfera, eseguita direttamente in scena.

Bastano le coreografie e gli effetti luministici per creare un’ ambientazione emotiva, drammatica e tutta tesa ad esprimere sul piano estetico il conflitto dei corpi.

I grandi sfondi incontaminati dell’isola, panorama del godimento estatico dei ragazzi – che nel libro sono aspetti onnipresenti – nello spettacolo assumano un segno del tutto diverso.

L’isola è nel corpo degli attori. Il corpo è il loro nuovo terreno di studio dove ricercare quella dimensione di armonia e di spontaneità. Non solo l’isola, però. Anche la paura, la fame, il fuoco, la «bestia». Tutto diventa “corpo”. Corpo da scoprire, corpo da violare, corpo da sfamare, fino a quando l’uomo stesso può diventare preda, come il personaggio del Tocco. Oppure predatore, come il personaggio leader, abilmente interpretato dalla giovane Valentina Picello, che incarna il complesso districarsi nell’uomo di bassi istinti e ragione, di frustrazione e desiderio di dominio.

Con la morte del Tocco, studiata scenicamente sul piano multiplo di gioco, sogno e realtà, il gruppo perde l’innocenza e passa definitivamente dalla parte della barbarie.

Tutta la banalità del male viene salvata nel finale ed enfatizzata dalla società civile che tramuta gli uomini-bestia in bestie da reality. L’isola di Golding diventa una sottospecie dell‘ Isola dei famosi,rendendo così la violenza umana accettabile dalla massa che tenta grottescamente di giustificarsi per quello che è realmente.

«Che idea pensare che la bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere! Lo sapevi no, che io sono una parte di te?».

a cura di Mara Verena Leonardini

I CANDIDI da Sipario.it

http://www.sipario.it/component/content/article/391-articoli-homepage/5619-candidi-i.html

Da Il signore delle mosche, romanzo del premio Nobel William Golding, da sessant'anni a questa parte sono state tratte parecchie riduzioni cinematografiche e teatrali: da ricordare, almeno il film di Peter Brook, del '63.

Con I candidi, prodotto dalla compagnia Eco di Fondo e liberamente tratto dall'opera, il regista Emanuele Crotti ne estrae, prosciugandoli, i temi salienti, traducendoli con efficacia in una forma teatrale di non semplice definizione, costruita utilizzando con un linguaggio fra il gestuale e il coreutico, sostenuta da musica eseguita dal vivo, ove la parola è ridotta ad in un pugno di battute, che risuonano solo dopo i primi venti minuti dello spettacolo.

Al progetto drammaturgico ha collaborato l'intero gruppo (Francesco Meola, Valentina Picello, Andrea Pinna, Libero Stelluti, Giulia Viana, Chiara Zerlini, Fabio Zulli), visibilmente legato da un forte affiatamento, maturato in quasi due anni di lavoro corale (il progetto ha vinto il Premio Schegge, bandito da Il cerchio di gesso, di Torino nel 2011).

In scena, quasi sempre il gruppo al completo: un groviglio di giovani corpi, sommariamente vestiti, a volte nudi, che attraverso una gestualità ed una comunicativa prevalentemente non verbale, un promiscuo, reciproco contatto fisico, sanno restituire la sconsolata, cinica visione che Golding ha dell'umanità, ed esprimono con impressionante intensità le dinamiche dei rapporti umani, del potere, di una illusoria democrazia che diviene prevaricazione.

Il registro non è mai realistico (i sette attori sono dei giovani, ma non si fingono adolescenti), tuttavia anche il ricorso alla metafora è ad un tempo discreto e trasparente: le magliette bianche indossate all'inizio, che alludono al candore cui si riferisce il titolo e che, nel corso dello spettacolo saranno sformate, ridotte a brandelli; i corpi lordati da sostanze immonde (le feci del maiale), a segnalare il progressivo degrado dei loro rapporti, fino allo sconvolgente episodio di cannibalismo (soltanto suggerito, alluso nel testo letterario).

Anche uno dei temi centrali del romanzo, l'istanza del soprannaturale, il bisogno di costruirsi un totem, di inventare un dio da onorare e temere, emerge con forza, ma sempre secondo quella scelta di comunicazione obliqua, mai esplicita, che percorre l'intera azione teatrale, e che costituisce la cifra più affascinane del lavoro. E lo spettacolo si chiude, come era iniziato, con l'inquietante irruzione in scena di un'aitante figura maschile, con una testa di maiale, che compie una sorta di primitiva danza rituale.

Elemento non secondario nella messa in scena, la presenza dei musicisti (Stefano De Ponti ed Eleonora Pellegrini: chitarra, voce, percussioni, xilofono, armonica a bocca) che, con l'ausilio di tracce registrate, sottolineano, preannunciano, accompagnano, commentano l'azione teatrale.

Val la pena, infine, di sottolineare che questo gruppo di giovani artisti, che escono tutti da una solida formazione teatrale classica, ha compiuto la scelta di cimentarsi nella ricerca di forme che non ricalcassero i più rassicuranti e frequentati sentieri del teatro di tradizione, e che è riuscito nel suo intento, senza cedere alle tentazioni solipsiste di sperimentazioni criptiche e sterili.

Claudio Facchinelli

I CANDIDI da saltinaria.it

http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/14902-i-candidi-spazio-tertulliano-milano-recensione-spettacolo.html

Chissà se è pensato l’omaggio a Pina Bausch con il quale comincia I Candidi.

Al Café Müller della madre del Tanztheater, luogo in cui, con estrema serialità, i gesti e le emozioni crude dominano sulle parole. Omaggio che poi si diffonde a macchia d’olio per tutta la pièce così interessante del regista Emanuele Crotti, a volte più marcato, altre meno.

È buio, gli spettatori prendono posto e i sette candidi sono già lì che si aggrovigliano tra loro. Una danza corporea che esprime ricerca e dolore, che ha un vago richiamo carnale, di una sensualità che però poi la disperazione ricopre immediatamente.

Le dinamiche sfuggenti degli adulti che circondavano Pina diventano ora quelle di sette ragazzi che giocano agli adulti. Dinamiche che, in una condizione estrema, prendono il sopravvento con altrettanto estreme conseguenze. I ragazzi diventano uomini, gli uomini diventano – come ricordava il primordiale titolo della messinscena – bestie.

Quanto di più simile invece, è il colore bianco. Ne I Candidi, così come in Café Müller, gli attori sono vestiti di questo non-colore che rappresenta tutto e niente. Maglie che poi saranno fruste oppure stracci di sette eroi sopravvissuti della tinta più candida – appunto – possibile, che rappresenta, più di ogni altra cosa, la ricerca di un’identità: chi siamo? Quanti siamo? Cosa è più importante? ­­­­­­­

Quello che rende I Candidi un’opera teatrale originale e ‘a sé’ è l’aver reso così semplice e visivo (ma non per questo meno sofisticato o importante) uno spunto come Il signore delle mosche (romanzo prima, film poi, singolo, infine, del 1995 degli Iron Maiden), all’origine decisamente per palati raffinati. La bravura sta nella capacità degli attori, tutti e sette molto giovani eppure così in grado di calpestare il palco con massima padronanza, di trasmettere quella costante provocazione pessimista e corrotta dell’essere umano alla continua ricerca di salvezze.

Questa comunità, sperduta in un’isola deserta senza tempo, trasforma un paradiso in inferno, tra ricatti, paure illogiche, atteggiamenti selvaggi, atti di cannibalismo. Il messaggio punzecchia continuamente lo spettatore attraverso un gioco di respiri, movimenti e poche parole che, ad un attimo dalla malvagità, come i movimenti della Bausch, ripetono i concetti in maniera ossessiva, come in una serigrafia.

Il colore bianco diventerà la loro carne cruda e poi ancora una veste fino a trasformarsi in qualcosa di sporco, di nero, nero ovunque, come l’attacco di un mostro (interno o esterno) che governa. Tutto in una movenza continua, perfettamente confusionaria, un ballo senza fine tra il primitivo e l’onirico, tra un girotondo innocente e un massacro a corpo nudo tanto grezzo quanto d’effetto.

L’accattivante trovata di esprimere attraverso il corpo trova poi la sua apoteosi al passaggio da vittima a male estremo, manifestato con il volto di un maiale. Simbolo di cattiveria e sporcizia (dell’anima) e dell’abbondanza crudele desiderata. Simbolo, inoltre, di una metamorfosi ultima, della brutalità dell’uomo che sfocia in un istinto animalesco. L’attore soffoca con addosso la maschera e si sposta con irregolare abilità da una parte all’altra del palco, lo fa tra il buio, spostando le luci, infastidendo in silenzio lo spettatore che l’osserva. Zoppica, si gira piano e poi di scatto, alza le spalle come se fossero appuntite, porta indietro la schiena come se ci fosse il peso di una gobba, o di tutti i mali, sembra davvero che la terribile barbarie sia stata appena vissuta nella poltroncina affianco dello spettatore ammutolito che ne vorrebbe vedere ancora tanto è stato l’impatto.

Poi d’improvviso la scena finale. I sette naufraghi sono rimasti cinque, hanno creato la loro democrazia, la disumanità l’ha trasformata in dittatura violenta (d’altronde proprio Golding, autore del libro, scriverà che l’uomo produce il male così come le api producono il miele).

Con un pizzico di provocazione ci si ritrova davanti ora cinque superstiti pronti a raccontare al microfono la loro esperienza da prima pagina. Rivestiti, ripuliti, come se nulla fosse.Siamo sempre stati cinque, dicono, non c’è stato nessun cannibalismo, non c’è stato nessun passaggio dittatoriale che ha portato all’odio profondo, non c’è stato nessun episodio estremo. Coprendo dunque il marcio con candida apparenza. E a pensarci bene, questo gesto finale, non è poi così distante dalla nostra realtà, nel nostro Paese. Coprire il marcio con candida apparenza. Che uno se ne va da teatro e ha qualcosa su cui riflettere.


Articolo di: Andrea Dispenza

Grazie a: Ufficio stampa Marta Ienco

martedì 3 aprile 2012

TRAILER Le rotaie della memoria



sabato 7 aprile dalle ore 16.50 alle ore 17.15
in diretta su radio rai tre, ospiti della trasmissione PIAZZA VERDI,
ECO DI FONDO
presenta
I CANDIDI (11-15 aprile 2012, Spazio Tertulliano)
LE ROTAIE DELLA MEMORIA (25 aprile, ore 19.30, Teatro Oscar)