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milano, Italy
Eco di fondo è una compagnia teatrale nata da Giacomo Ferraù e Giulia Viana, diplomati all’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel 2007. Si occupano di teatro di prosa e di teatro ragazzi. Selezionati per due anni consecutivi a NEXT, laboratorio per delle idee (O.Z.,, 2014 e LA SIRENETTA, 2015), hanno vinto diversi premi, tra cui: Premio Riccardo Pradella (2014), Selezione Inbox (ORFEO ED EURIDICE, Teatro Presente-Eco di fondo, 2014), finalista Premo Scenario Infanzia (NATO IERI, 2012), Premio Fantasio Piccoli (SOGNI, 2010), Premio ANPI Cultura (LE ROTAIE DELLA MEMORIA, 2008)

lunedì 3 dicembre 2012

da KLP: articolo dopo la finale di PREMIO SCENARIO INFANZIA 2012

da klpteatro.it: PREMIO SCENARIO INFAZIA 2012

(Mario Bianchi)

" “Nato ieri”, dei milanesi di Eco di fondo, è infine un esplicito omaggio al bambino che è dentro (o dovrebbe esserlo) ognuno di noi.

Si presenta come uno spettacolo tenero e curioso che narra una storia surreale ma di impronta dickensiana: è la storia di un bambino, Mino, che nasce avendo già 42 anni. Abbandonato dai genitori all’orfanotrofio, una suora, scambiandolo per un genitore, gli affida un bambino rom di 10 anni, Lucignolo. Mino attraverserà la vita con lui, uno accanto all’altro, ognuno imparando attraverso gli occhi del compagno la ricchezza e l’unicità della propria età e della propria esistenza. La storia è rappresentata con gusto ed ironia attraverso le cadenze incantate degli occhi dell'infanzia, dove ogni cosa appare miracolosa. "

intervista a ECO DI FONDO, finalista a PREMIO SCENARIO INFANZIA 2012

da IL TAMBURO DI KATTRIN:

link all'articolo



Cosa caratterizza le diverse fasi del processo creativo in un lavoro teatrale rivolto all’infanzia?Giacomo Ferraù: Punto di partenza fondamentale per il nostro lavoro è stato lasciare che lo spazio scenico diventasse luogo di gioco e scoperta; un luogo dove tutto è permesso senza timore di giudizio, dove le regole nascono organicamente nello spazio e con lo spazio della storia, del racconto, della vita scenica. Sin dalle prime volte in cui io e Giulia ci interrogavamo riguardo al progetto, avevamo ben chiaro che intendevamo realizzare uno spettacolo diretto a una fascia specifica del teatro ragazzi ma capace, nel contempo, di rivolgersi a bambini di ogni età, dagli 8 ai 99 anni, come la dicitura dei giochi in scatola più divertenti. Parlare al bambino che è dentro di noi significa, a livello attoriale, lasciare spazio alla fantasia, in fase creativa, senza inscatolarla dentro limiti logistici prestabiliti. Era per noi il primo spettacolo di teatro ragazzi in cui ci impegnavamo in una drammaturgia originale. Durante il lavoro ci siamo dunque stupiti a osservare che le regole della messinscena fossero del tutto uguali ai principi basilari di creazione seguiti negli altri spettacoli rivolti a un pubblico più adulto, e che queste regole non subissero limitazioni, anzi! In primo luogo, il controllo costante della chiarezza e dell’efficacia espositiva della messinscena. Poi, indubbiamente, il reale divertimento attorale in scena: perché i bambini, come diciamo nello spettacolo, sono molto più attenti al mondo degli adulti che gli adulti stessi. E ancora la semplicità della messinscena stessa. Certo, è difficile essere semplici ed essenziali, soprattutto in un’epoca dove la semplicità viene spesso confusa con banalità. Eppure, quella meravigliosa risorsa scenica che è lavorare per immagini, per metafore teatrali (soprattutto la metonimia, la parte per il tutto), ci ha aperto una strada per portare in scena mondi che in fase di scrittura apparivano difficilmente rappresentabili.
Come il teatro mutua, con metonimia appunto, il gioco del bambino che agitando un lenzuolo si stende davanti al mare, così in scena compaiono, agli occhi del bambino che è dentro ognuno di noi, paesi lontanissimi a distanza di un passo, cani invisibili, letti verticali, foto ricordo che si animano al pensiero di un carillon…
Lasciare aperta la discussione scenica inoltre ci ha permesso di inserire immagini e proposte dell’intero gruppo: il lavoro di Andrea, Libero, Giulia e Valentina (che mi affiancava come assistente) è stato più che fondamentale. Nato ieri nasce in effetti da una nostra riflessione su una condizione odierna più generale di spaesamento, di inadeguatezza rispetto una realtà fatta di schemi fin troppo prestabiliti, che non lascia spazio allo spirito del bambino e che costringe a una crescita troppo rapida, negando la dimensione della scoperta, del candore che permette di emozionarsi, del gioco, che è anche il principio del nostro mestiere.
Come racconteresti la storia ad un bambino dell’età alla quale ti stai rivolgendo con il tuo progetto?
Mino è nato ieri. E ha 42 anni. Mino ha lo spirito di un bambino, ma è nato già adulto, nel corpo di un adulto. Anche i suoi genitori, che non sono mica nati ieri, si sono chiesti, al tempo, come fosse potuto nascere così grande. O meglio, se lo sono chiesti per un paio d’ore, poi ci hanno rinunciato e lo hanno lasciato davanti alla porta di un orfanotrofio. Così Mino rimane lì, col pollice in bocca, immobile, di fronte al portone. Arriva la notte, con lei il buio. Mino, essendo nato ieri, non conosce il buio, così si spaventa e inizia a piangere. E piange. E piange. E piange. Fino al mattino successivo, quando una suora attempata gli apre la porta e spinge fuori un bambino dai tratti slavi, un bambino rom, con un cespuglio di capelli arruffati, un sorriso furbetto e un violino sotto al braccio. «È lei il signor Rossi? È venuto a prendere Lucignolo, finalmente?» ringhia la suora tirando il bambino dall’orecchio. Mino sorride, perché essendo nato ieri non ha ancora imparato a parlare. «Ma quale signor Rossi? Questo è nato ieri!» dice Lucignolo ridendo. «Porta rispetto al tuo nuovo papà!» tuona esausta la suora sbattendo il portone dietro di sé. Mino e Lucignolo si guardano. Si guardano. Si guardano. Poi finalmente Mino sorride. «Pa-pà…». La sua prima parola. Anche se ancora non lo sanno, le loro vite, da questo momento, non si separeranno più. Dopo un attimo di disperazione, Lucignolo si rassegna alla cruda realtà: l’uno non ha che l’altro al mondo e in qualche modo dovranno cavarsela. Lucignolo per prima cosa cerca di ritornare al campo rom dove vivevano i suoi genitori, ma trova soltanto terra e cenere. Così iniziano il loro viaggio e le loro numerose avventure per riuscire ad arrangiarsi nella giungla del mondo. Lucignolo sa di essere troppo piccolo per trovare un lavoro. Potrebbe farlo Mino. «Se Mino è nato ieri, tutti se ne accorgeranno» pensa Lucignolo. «Bè, la suora non se n’è accorta, in effetti, i grandi non sono così attenti…». Così inizia la loro avventura, Lucignolo insegnerà a Mino come fare a essere grande, mentre Mino restituirà al suo amico quel gioco e quella leggerezza dell’infanzia che la vita gli ha negato.
oppure…Nato ieri è la storia di un bambino, Mino, che nasce e ha già 42 anni. La sua mamma e il suo papà non sanno come prendersi cura di lui e decidono di lasciarlo all’orfanotrofio dove una suora, scambiandolo per un genitore, gli affida un bambino rom di 10 anni, Lucignolo. Mino e Lucignolo dovranno vivere insieme, l’uno non potrà stare senza l’altro, ognuno imparando attraverso gli occhi del suo compagno, la ricchezza e l’unicità della propria età, della propria esistenza.
Come si è sviluppato il lavoro rapportandosi alle diverse fasi che caratterizzano il Premio Scenario?Giulia Viana: Da tempo, pensavamo a una nuova produzione Eco di fondo, uno spettacolo di teatro ragazzi, ma tergiversavamo rispetto alle tempistiche. Poi, la scadenza al bando di concorso Premio Scenario Infanzia 2012 ci diede un buon motivo per stendere un’ipotesi di progetto. Così in un tiepido pomeriggio di aprile, davanti a un gelato, in Piazza Cinque Giornate a Milano, io e Giacomo pensammo a Mino e alla sua storia, che arrivò come un lampo, nel giro di dieci minuti, tra un assaggio di stracciatella, e uno sguardo al cielo limpido della primavera. Convocammo Libero, Andrea e Valentina per presentargli l’idea di Nato ieri e una prima scena per i cinque minuti. Io, Libero e Andrea provammo il testo. Funzionava! Bastarono pochi giorni per montarlo con la regia di Giacomo. Passata la prima selezione, io e Giacomo scrivemmo altre quattro pagine di testo e lo proponemmo ai compagni. Non avevamo però ben chiara l’ultima scena, quella tra Lucignolo e Mino e il principio del loro viaggio, ma Libero e Andrea, improvvisando, in un solo pomeriggio, diedero naturalmente vita e colore a quello che la storia richiedeva. E ora siamo qui, all’ultima selezione, con tanti pensieri positivi per il futuro nel cuore, incoraggiati da questo per noi grande traguardo, e, in testa, altri piccoli frammenti della storia di Mino da cucire insieme per ultimare la sua avventura, qualunque sia l’esito del concorso.

lunedì 26 novembre 2012

ECO DI FONDO ALLA FINALE DI SCENARIO INFANZIA 2012

scritto da Mario Bianchi (klpteatro)

"... “Nato ieri”, dei milanesi di Eco di fondo, è infine un esplicito omaggio al bambino che è dentro (o dovrebbe esserlo) ognuno di noi.
Si presenta come uno spettacolo tenero e curioso che narra una storia surreale ma di impronta dickensiana: è la storia di un bambino, Mino, che nasce avendo già 42 anni. Abbandonato dai genitori all’orfanotrofio, una suora, scambiandolo per un genitore, gli affida un bambino rom di 10 anni, Lucignolo. Mino attraverserà la vita con lui, uno accanto all’altro, ognuno imparando attraverso gli occhi del compagno la ricchezza e l’unicità della propria età e della propria esistenza. 
La storia è rappresentata con gusto ed ironia attraverso le cadenze incantate degli occhi dell'infanzia, dove ogni cosa appare miracolosa. ..."


intero articolo da klp scritto da Mario Bianchi

domenica 18 novembre 2012

23 NOVEMBRE 2012, ORE 16, TEATRO DELLE BRICIOLE, PARMA (sala media)

FINALE DI PREMIO SCENARIO INFANZIA 2012
NATO IERI
di Giacomo Ferraù e Giulia Viana
regia di Giacomo Ferraù
con Andrea Pinna, Libero Stelluti e Giulia Viana
assistenti alla regia Valentina Mandruzzato e Valentina Scuderi

giovedì 11 ottobre 2012

2 NOVEMBRE: LE ROTAIE DELLA MEMORIA

il 2 novembre 2012 alle ore 21 all'Ex Cinema Impero di Castelletto sopra Ticino (Novara)
andrà in scena LE ROTAIE DELLA MEMORIA

lunedì 1 ottobre 2012

giovedì 20 settembre 2012

è NATO IERI

28 settembre 2012: ECO DI FONDO A CASCINA con i 20 minuti di NATO IERI,
la nuova produzione Eco di fondo,
regia di Giacomo Ferraù,
con Andrea Pinna, Libero Stelluti, Giulia Viana,
assistenti alla regia Valentina Mandruzzato e Valentina Scuderi

28 settembre 2012

28 settembre 2012, ore 11:30: due eventi per ECO DI FONDO

Cascina, La città del teatro:
seconda selezione al PREMIO SCENARIO INFANZIA con NATO IERI

Milano, Spazio Tertulliano:
conferenza stampa stagione 2012-2013 (24-28 aprile 2013, LE ROTAIE DELLA MEMORIA)

lunedì 30 luglio 2012

28 settembre 2012 | Cascina | SELEZIONE SCENARIO INFANZIA seconda selezione

NATO IERI
regia di Giacomo Ferraù
con Andrea Pinna, Libero Stelluti e Giulia Viana
assistenti alla regia Valentina Mandruzzato e Valentina Scuderi

lunedì 28 maggio 2012

NUOVO TRAILER I CANDIDI

LINK AL TRAILER de I CANDIDI

I CANDIDI da klp


I Candidi. La danza macabra di Eco di Fondo
Un gruppo di sette ragazzi è quanto sopravvissuto a un aereo precipitato su un’isola. I naufraghi sentono di poter trasformare l’incidente in un’opportunità, e si mettono all'opera per organizzare un “nuovo mondo”, ma finiranno per trasportare, in quella che poteva essere un’isola felice, il peggio della terraferma, potenziando le istintive paure dell’uomo in comportamenti definitivamente selvaggi che li marchieranno, anche una volta “salvati”. 

Sono “I Candidi”, 'caso umano' potenzialmente reale, protagonisti dell’omonimo spettacolo della compagnia Eco di Fondo, vincitrice nel 2010 del bando Schegge e presentato nei giorni scorsi a Milano allo Spazio Tertulliano, un giovanissimo luogo teatrale (è alla seconda stagione, prima era un capannone industriale) decisamente adatto a ospitare lo spettacolo di questa compagnia nata da due attori (Giacomo Ferraù e Giulia Viana) diplomati nel 2007 all’Accademia dei Filodrammatici. 
I due, insieme al regista Emanuele Crotti, attraverso tre workshop condotti nel 2010 con gli attori, hanno costruito una drammaturgia originale, ispirata a due romanzi che in qualche modo sovrappone "Il Signore delle mosche" di William Golding e "Cavie" di Chuck Palahniuk, riadattando la vicenda del primo secondo le “derive” del secondo.
Come in “Cavie”, infatti, i protagonisti sono isolati (là era un ritiro per aspiranti scrittori) e vivono a stretto contatto condividendo l’unico obiettivo (la salvezza “in qualche modo”), lavorando per arrivarci. E come ne “Il Signore delle mosche”, gli eroi sono ragazzi lasciati a sé, senza modelli di riferimento, che diventano sempre più sporchi, pieni di ferite e cicatrici, non solo a livello fisico.

Lo spettacolo trova il filo che unisce i due romanzi: nonostante il comune obiettivo, è impossibile per un gruppo condurre un’esistenza democratica, illuminata da regole e ruoli giustamente divisi e distribuiti; la singola iniziativa degenera nell’esaltazione, e l’individualismo viene difeso “a tutti i costi”. Il più forte sopravvive, e con lui, quelli che lo imitano.
La morale (deviata) del gruppo di ragazzi è il conflitto che Crotti porta in scena snellendo e 'coreografando' “Il Signore delle mosche”, attraverso un’operazione poetica davvero ben riuscita: quasi assenti i dialoghi, l’evoluzione (negativa) del gruppo è evocata dai loro corpi, dall'abbraccio iniziale, umano e caldo, che diventa sempre più rapido strattone, fino a degenerare nel calcio e nel gesto più disumano. Il tutto accompagnato dalle musiche originali di Me and the white lash, valido sostituto delle battute tagliate, e dalle luci dosate, o da particolari giochi fluorescenti al posto del fuoco, e più potenti almeno per l’occhio dello spettatore.

La giusta sintesi di Crotti rende onore al romanzo, ma allo stesso tempo gli dà una seconda vita che cresce autonoma, visiva, e fortemente teatrale. I personaggi, inizialmente tanto compatti da essere difficilmente distinguibili, gradualmente acquistano la propria individualità che, però, è un regresso, una lenta e progressiva disumanizzazione: è il totale fallimento della ragionevolezza, a vantaggio dell’egocentrismo cattivo, dell’istinto e della ragione al servizio della furbizia negativa, del bullismo e della prepotenza.

“I Candidi” è una provocazione: gli istinti animaleschi sono innati, e schiacciano ogni tentativo da parte dell’intelligenza; e questo dato di fatto è ancora più sconvolgente se è la pelle, imbrattata, di un gruppo di ragazzi (prevalentemente muti) a mostrare l'odio come unica regola funzionante nella relazione umana.

A questa immagine di regressione verso la più primitiva barbarie, tuttavia, gli autori hanno sentito di dover aggiungere il tema che, più o meno legato alla cornice finora messa in scena, domina la poetica di Chuck Palahniuk, oltre che contraddistinguere il nostro tempo: il potere dei mass-media. Nel finale, infatti, i sopravvissuti rientrano in patria accolti e acclamati col (finto e lacrimevole) calore da Auditel che si addice ai “naufraghi dell’isola”, esattamente quella…  

La critica ai reality show è un mezzo diretto, ma chissà quanto efficace, per mostrare la fine del processo di degenerazione umana: ossia il bisogno di essere sulla cresta dell'onda, con gli spietati compromessi a cui si scende pur di esserlo, o almeno pur di credere che sia così.
Purtroppo questo suffisso “rumoroso” al finale è un’appendice che suona posticcia: un brusco risveglio per lo spettatore, fino ad allora incantato dai personaggi e dalla loro particolarissima forma di danza macabra.

I CANDIDI
adattamento di Emanuele Crotti
regia di Emanuele Crotti
con: Francesco Meola, Valentina Picello, Andrea Pinna, Libero Stelluti, Giulia Viana, Chiara Zerlini, Fabio Zulli
musiche: Me and the White Lash
produzione: Eco di Fondo
durata: 1h 15'
applausi del pubblico: 2' 12''

Martina Melandri

lunedì 16 aprile 2012

ECO DI FONDO a PIAZZA VERDI

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-cf738d8b-e392-4053-a368-795b25d2574a.html

I CANDIDI da labcattolica.wordpress

http://labcattolica.wordpress.com/979-2/

In questo clima politico d’incertezza, lo spettacolo “I Candidi” porta lo spettatore a interrogarsi sui mostri che la democrazia è in grado di creare. Il regista dello spettacolo, in scena allo spazio Tertulliano di Milano, è Emanuele Crotti, che esprime il suo punto di vista e racconta le sfide che ha dovuto affrontare. I Candidi” nasce come stage teatrale ispirato a “Cavie” di Palahniuk, una raccolta di storie che descrivono un’umanità grottesca da cui il regista ha scelto di allontanarsi, preferendo partire da un punto di vista più innocente. Proprio per questo ha deciso di trarre la sua ispirazione da “Il Signore delle Mosche” di William Golding. Lo spettacolo narra la storia di sette bambini naufraghi su un’isola che cercano di imitare il sistema democratico degli adulti che, però, finisce per degenerare fino a creare degli autentici mostri che usano le votazioni per il proprio tornaconto personale. La situazione peggiora a tal punto che i bambini non fanno altro che litigare tra di loro, la loro mostruosità diventa tale da essere pronti a divorare i loro compagni pur di sopravvivere. L’isola deserta diventa una metafora della condizione umana e la salvezza lo scopo primario.

Ci sono tre chiavi di lettura della salvezza: la prima è quella fisica, cioè ritornare a casa, vi è poi quella spirituale, cioè salvare la propria anima e infine quella morale. Questi argomenti potrebbero sembrare astratti, ma sono quanto mai attuali a detta del regista. I sette protagonisti non hanno una personalità e un carattere ben definito: essi possono essere chiunque e chiunque può essere loro e per questo il pubblico è più coinvolto nello spettacolo perché riesce a riconoscersi e immedesimarsi nei personaggi. Inoltre l’intento del regista non era quello di dar vita ai soliti “personaggini” che oggi più che mai fanno pensare ad un reality show più che ad uno spettacolo teatrale, ma piuttosto quello di creare degli uomini nei quali tutti potessero rispecchiarsi e che rappresentassero la varietà del genere umano. La pietra portante dello spettacolo sono le votazioni, che possono diventare il cemento della democrazia tanto quanto della dittatura. Il voto può salvare una vita, ma può anche decretare la sua fine. In una meravigliosa unione di teatro e danza, le parole sono poche: infatti sono soprattutto i gesti e l’espressione degli attori che raccontano la vicenda, senza però mai sfociare nell’esagerazione e nel grottesco. Crotti ha infatti affermato di non amare gli spettacoli in cui gli attori si trasformano in “mascheroni”, che lo spettatore ormai riconosce come finti, poiché non è più abituato a questo tipo di espressività. Lo spettacolo è caratterizzato da una grande semplicità e il titolo stesso lo suggerisce: i sette personaggi indossano soltanto delle t-shirt bianche che stanno a indicare il loro candore iniziale. Le magliette degli attori si sporcano poi di nero, che rappresenta la loro trasformazione da bambini innocenti a mostri. Fondamentali per aiutare lo spettatore a immergersi nello spettacolo sono senza dubbio le musiche composte dal gruppo milanese “Me And The White Lash”, che creano un’atmosfera a tratti onirica e a tratti quasi infernale. I Candidi” è uno spettacolo ben riuscito e capace di far riflettere, soprattutto in tempi in cui è raro fermarsi a pensare su ciò che accade intorno a noi. E’ senza dubbio un’esperienza teatrale diversa dal normale, ma che consiglio a tutti!


Carolina Fornari

I CANDIDI da niuodeon.com

http://www.niuodeon.com/

I 7 attori si aggrovigliano in scena durante l’entrata del pubblico in sala.

L’immagine che ritorna è l’affresco di una chiesa antica.

Ad un primo sguardo vediamo un dipinto angelicato, ma se restiamo attenti al lavoro di questi attori, (che molto generosamente si concentrano, nonostante il pubblico proceda nella sua serata chiacchierando e domandandosi quando inizierà lo spettacolo), si nota la natura a due facce del loro essere apparentemente buoni.
Sono catturata da queste figure pure che possono assumere valenze diaboliche, in un continuo gioco di forza ottenuta da un appoggio sull’altro come sostegno, senza il quale non si potrebbe esistere o sopravvivere.
Che valenza assume un concetto del genere se la storia del testo che ha ispirato il regista, Emanuele Crotti e il gruppo Eco di Fondo, trattasse di un gruppo di bambini sopravvissuti ad un incidente aereo sbarcati su di un’isola deserta dove il cibo scarseggia?
Vincitore nel 2010 del bando Schegge dell’Associazione Il cerchio di gesso di Torino, con il titolo provvisorio Bestie, ispirato al romanzo Il signore delle mosche di William Golding, sul palco le musiche dal vivo di Stefano De Ponti e Eleonora Pellegrini.
Questi giovani si organizzano in un gruppo, lontani dalla società convenzionale e ricordano i film “The village” e “il nastro bianco”.
Giocano a fare finta di essere dei grandi per poter sopravvivere; si danno delle regole, le più importanti sono il fuoco, la conchiglia, il voto. Hanno la necessità di sperare, credere, dare voce a sé stessi.
Per sconfiggere la paura non stanno mai soli. Ad un certo punto la fame crea uno scarto di lucidità, il bisogno di cibo li trasforma in bestie, gli uomini ai loro occhi diventano dei maiali.
Subentra un passaggio di testimone da un capo all’altro che decide per la fine dei due più deboli. Questo lavoro parla alla pancia dello spettatore e usciti dalla sala riflettiamo a più livelli.
Molto interessanti le scelte sceniche; come far rivivere il fuoco da stralci di colori fluo al buio, l’animale uomo con una maschera di maiale e soprattutto le magliette stracciate, distrutte in mille brandelli con le unghie e con i denti diventano davvero credibili atti di cannibalismo a cui si piegheranno 5 del clan.
Al ritorno a casa solo una ragazza del gruppo sembra nutrire rimorsi di coscienza mentre gli altri parlano ad un talk show di come sarà il libro e il film dell’avventura che, a detta loro, non ha causato morti oltre a quelli del giorno dell’incidente.


Antonella Vercesi


I CANDIDI da persinsala.it

http://teatro.persinsala.it/i-candidi/5234

“gli uomini producono il male come le api producono il miele

Allo Spazio Tertulliano, una scena vuota e sette attori bastano per ricreare l’isola di Golding e per raccontare la faccia oscura della natura umana.

Nel ’54, il premio nobel William Golding pubblicavaIlsignore delle mosche.
Metti un gruppo di ragazzi su un’isola deserta.
Metti la fame, la speranza di essere salvati che pian piano se ne va.
Assisterai a ciò di cui può esser capace l’essere umano in simili condizioni.

I giovani naufraghi si godono l’ebbrezza dell’assenza degli adulti. Giocano, esplorano, si divertono. Ma cercano anche di darsi delle regole ispirate in qualche modo a una leadership democratica.

Ed è proprio qui che qualcosa si spezza.

In un gioco di specchi che ci restituisce la nostra attualità politica – e più in generale la politica di ogni tempo – i ragazzi non controllano le proprie ambizioni al comando, e pian piano scivolano in dinamiche violente abbandonando ogni scrupolo. Il diritto di esprimere la propria opinione e anche solo di parlare – scenicamente il passaggio della conchiglia e l’ossessione del voto – degenerano in una dittatura della maggioranza.

Il carisma del leader attira di più del bene comune, e basterà far leva sulla paura e sull’emotività perché il gruppo si lasci andare agli orrori più bestiali: homo homini lupus.

La drammaturgia di Emanuele Crotti, che dal romanzo prende le mosse, gli vale nel 2010 il premio del bando Schegge indetto dall’Associazione Il cerchio di gesso di Torino e l’istanza di fondo di raccontare la natura umana e i suoi risvolti aberranti è rispettata.
ll pubblico assiste con orrore a come i sette adolescenti trasformino il paradiso in un inferno.
Sebbene l’età degli attori non possa restituire l’immagine di innocenza dei bambini di Golding, ci appare chiaro che il male si insinua dove siamo soliti trovare la purezza: nel gioco.

Nello spettacolo lo scenario idilliaco dell’isola è già pervaso da un senso di inquietudine. Nessuna spiaggia incantevole è evocata: l’atmosfera è già corrotta e la scena si sviluppa soprattutto nella penombra.

Non c’è scenografia e, per costumi, solo pochi stracci. Solo una musica distorta d’atmosfera, eseguita direttamente in scena.

Bastano le coreografie e gli effetti luministici per creare un’ ambientazione emotiva, drammatica e tutta tesa ad esprimere sul piano estetico il conflitto dei corpi.

I grandi sfondi incontaminati dell’isola, panorama del godimento estatico dei ragazzi – che nel libro sono aspetti onnipresenti – nello spettacolo assumano un segno del tutto diverso.

L’isola è nel corpo degli attori. Il corpo è il loro nuovo terreno di studio dove ricercare quella dimensione di armonia e di spontaneità. Non solo l’isola, però. Anche la paura, la fame, il fuoco, la «bestia». Tutto diventa “corpo”. Corpo da scoprire, corpo da violare, corpo da sfamare, fino a quando l’uomo stesso può diventare preda, come il personaggio del Tocco. Oppure predatore, come il personaggio leader, abilmente interpretato dalla giovane Valentina Picello, che incarna il complesso districarsi nell’uomo di bassi istinti e ragione, di frustrazione e desiderio di dominio.

Con la morte del Tocco, studiata scenicamente sul piano multiplo di gioco, sogno e realtà, il gruppo perde l’innocenza e passa definitivamente dalla parte della barbarie.

Tutta la banalità del male viene salvata nel finale ed enfatizzata dalla società civile che tramuta gli uomini-bestia in bestie da reality. L’isola di Golding diventa una sottospecie dell‘ Isola dei famosi,rendendo così la violenza umana accettabile dalla massa che tenta grottescamente di giustificarsi per quello che è realmente.

«Che idea pensare che la bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere! Lo sapevi no, che io sono una parte di te?».

a cura di Mara Verena Leonardini

I CANDIDI da Sipario.it

http://www.sipario.it/component/content/article/391-articoli-homepage/5619-candidi-i.html

Da Il signore delle mosche, romanzo del premio Nobel William Golding, da sessant'anni a questa parte sono state tratte parecchie riduzioni cinematografiche e teatrali: da ricordare, almeno il film di Peter Brook, del '63.

Con I candidi, prodotto dalla compagnia Eco di Fondo e liberamente tratto dall'opera, il regista Emanuele Crotti ne estrae, prosciugandoli, i temi salienti, traducendoli con efficacia in una forma teatrale di non semplice definizione, costruita utilizzando con un linguaggio fra il gestuale e il coreutico, sostenuta da musica eseguita dal vivo, ove la parola è ridotta ad in un pugno di battute, che risuonano solo dopo i primi venti minuti dello spettacolo.

Al progetto drammaturgico ha collaborato l'intero gruppo (Francesco Meola, Valentina Picello, Andrea Pinna, Libero Stelluti, Giulia Viana, Chiara Zerlini, Fabio Zulli), visibilmente legato da un forte affiatamento, maturato in quasi due anni di lavoro corale (il progetto ha vinto il Premio Schegge, bandito da Il cerchio di gesso, di Torino nel 2011).

In scena, quasi sempre il gruppo al completo: un groviglio di giovani corpi, sommariamente vestiti, a volte nudi, che attraverso una gestualità ed una comunicativa prevalentemente non verbale, un promiscuo, reciproco contatto fisico, sanno restituire la sconsolata, cinica visione che Golding ha dell'umanità, ed esprimono con impressionante intensità le dinamiche dei rapporti umani, del potere, di una illusoria democrazia che diviene prevaricazione.

Il registro non è mai realistico (i sette attori sono dei giovani, ma non si fingono adolescenti), tuttavia anche il ricorso alla metafora è ad un tempo discreto e trasparente: le magliette bianche indossate all'inizio, che alludono al candore cui si riferisce il titolo e che, nel corso dello spettacolo saranno sformate, ridotte a brandelli; i corpi lordati da sostanze immonde (le feci del maiale), a segnalare il progressivo degrado dei loro rapporti, fino allo sconvolgente episodio di cannibalismo (soltanto suggerito, alluso nel testo letterario).

Anche uno dei temi centrali del romanzo, l'istanza del soprannaturale, il bisogno di costruirsi un totem, di inventare un dio da onorare e temere, emerge con forza, ma sempre secondo quella scelta di comunicazione obliqua, mai esplicita, che percorre l'intera azione teatrale, e che costituisce la cifra più affascinane del lavoro. E lo spettacolo si chiude, come era iniziato, con l'inquietante irruzione in scena di un'aitante figura maschile, con una testa di maiale, che compie una sorta di primitiva danza rituale.

Elemento non secondario nella messa in scena, la presenza dei musicisti (Stefano De Ponti ed Eleonora Pellegrini: chitarra, voce, percussioni, xilofono, armonica a bocca) che, con l'ausilio di tracce registrate, sottolineano, preannunciano, accompagnano, commentano l'azione teatrale.

Val la pena, infine, di sottolineare che questo gruppo di giovani artisti, che escono tutti da una solida formazione teatrale classica, ha compiuto la scelta di cimentarsi nella ricerca di forme che non ricalcassero i più rassicuranti e frequentati sentieri del teatro di tradizione, e che è riuscito nel suo intento, senza cedere alle tentazioni solipsiste di sperimentazioni criptiche e sterili.

Claudio Facchinelli